Se ogni aurora è un parto di luce dopo una gestazione di notti e albe incerte e non sempre risolte, un’antropologia aurorale che riconosce in Dio e nella sua azione il suo punto sorgivo e il suo fine, non potrà che delinearsi come un’esistenza impattata dalla Grazia sgorgante dal mistero pasquale e cioè dal massimo momento rivelativo di Dio, in Cristo, nell’Amore dello Spirito che specularmente mostra l’uomo a se stesso.
Proporre un paradigma antropologico aurorale significa credere che, contro ogni forma di rassegnazione nei confronti della liquidità umana, nonostante le morti che ci paralizzano, Cristo morto e risorto annuncia una logica trasformativa e generatrice che è la vita della Grazia; Egli è la soglia della vita nuova che garantisce un amore che permette all’uomo di sorgere ancora, un amore donato che rivela a chi fatica a scorgere semi di vita, che nessuna sentinella resta ad aspettare la fine della notte a tempo indeterminato.