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È troppo bello pensare a Maria non da sola, per dire un “si” come una creatura presa da stupore e tremore di fronte ad un personaggio angelico; è troppo bello pensare ad un Magnificat nel quale Maria non parla soltanto dei suoi sentimenti per quanto le è capitato, ma sentendosi parte di una storia della quale si sente componente a pieno titolo come una nazione, popolo di Dio. Il prodigio che Dio ora ha operato in lei «è dunque per lei nientʼaltro che il vertice e il culmine di tutti i prodigi che già precedentemente aveva operato per il suo servo, il popolo di Israele. In lei in un certo qual modo si riassume lʼintera storia di Israele e, per la misericordia di Dio, viene ora donato al mondo il Salvatore». Dio ora in lei, attraverso lʼevento che lʼangelo le ha annunziato, ha soccorso Israele suo servo e si è ricordato della promessa che aveva giurato già ad Abramo. Se Dio in lei (e naturalmente nel bambino che lei porta in grembo) ha definitivamente soccorso Israele, allora Maria sta per Israele, è lei la rappresentante di Israele, riassume in sé lʼintera storia di Israele fino a questo punto. Maria parla della sua storia personale parlando della storia di Israele. Il Magnificat è brevissimo, ma condensa un lunghissimo arco di tempo che si estende da Abramo a Maria. E come Abramo, anche Maria rappresenta il popolo di Dio.
Ma anche queste riflessioni, presenti in Maria come in genere nei vari personaggi dell’A.T. a partire da Abramo a tutti i profeti, sono riflessioni e preoccupazioni molto umane presenti in persone che non sapevano quale piega avrebbe preso la loro vita; non pensavano alla loro esistenza in maniera tranquilla, pianificata come – si direbbe: recitare una Ave Maria! –. I loro dubbi, i loro perché, le situazioni con le quali si interfacciavano rendevano la loro vita piena di impegno alla ricerca di risultati positivi, da non vivere intimisticamente ma in mezzo al popolo, con la coscienza che Dio non chiamava ciascuno di loro in maniera isolata: Jahvé vuole non precisi avvenimenti ma il suo servo Israele, lanciato tra i popoli per essere loro luce.
Scendiamo nelle nostre chiese parrocchiali, nelle nostre associazioni, nei nostri Movimenti ecclesiali, in mezzo alle folle di devoti a Maria. Ascoltiamo quanto dicono di Maria, osserviamo il loro culto per Maria, chiediamoci se possiamo essere loro più vicini, se possiamo essere utili alla loro devozione riempiendola di vita e non lasciandola soltanto come una richiesta di aiuto, di intercessione.
Senz’altro ai cattolici italiani e, credo ai cattolici in genere, è sconosciuta la riflessione che Lohfink e Weimer hanno offerto in Maria non senza Israele. Lo spunto è dato dal dogma dell’Immacolata Concezione.
Presso i nostri bravi praticanti della domenica non è così facile trovare credenti che sappiano spiegarti il dogma dell’Immacolata Concezione: c’è confusione tra Immacolata Concezione e verginità e la festa dell’8 dicembre diventa l’occasione per parlare della Madonna che è stata preservata dal peccato originale per essere la degna dimora del Figlio di Dio, o diventa il momento nel quale insistere sulla penitenza per i mali della società e il momento della maggiore preghiera affinché la Vergine di Lourdes o di Fatima o di altri Santuari salvi il mondo da ventilate catastrofi.
Nel libro di Gerhard Lohfink e Ludwig Weimer, MARIA NON SENZA ISRAELE – Una nuova visione del dogma sull’Immacolata Concezione, le tante comunità italiane, le varie Associazioni marianepossono avere una visione completa della “meraviglia” dell’Immacolata Concezionecome punto di riferimento per un culto mariano più autentico, all’interno del progetto di salvezza dell’umanità, che si sta realizzando.
Non bisogna soltanto far parte della folla devota che chiede grazie alla Madonna, ma, sull’esempio di Sant’Anna Metterza e del tema dell’ Educazione di Maria, che mostra Maria contemplante il libro delle scritture per imparare dalla mamma la storia sacra, bisogna insistere sul dare corpo alla propria fede sentendosi parte attiva del popolo.
Bisogna insegnare ai cristiani che esiste un modo in cui Dio interviene direttamente nel mondo, e un altro in cui ogni grazia è mediata.
Entrambi questi linguaggi teologici sono necessari e si completano reciprocamente. Il linguaggio della “grazia diretta” è necessario in quanto evidenzia che è Dio stesso e il suo Santo Spirito ad agire; il linguaggio della “grazia mediata” è anchʼesso necessario in quanto non va mai dimenticato che Dio nel mondo ha bisogno di un popolo come strumento per raggiungere i suoi fini. Ciascuno di questi modi di esprimersi è necessario per poter parlare del mistero insondabile di un Dio che è Dio e non mondo.
Se tutto questo è esatto, dovremmo dire che Dio ha ricolmata Maria di una grazia sovrabbondante, intervenendo in modo immediato. Egli ha operato in lei un prodigio straordinario e lʼha preservata dal male che si propaga nel mondo, così come afferma la definizione del 1854.
Dovremmo anche dire, però, che Maria è cresciuta allʼinterno di un popolo che in lunghi spazi di tempo si era aperto a Dio, che aveva imparato a distinguere tra Dio e gli idoli, che si era continuamente convertito a Dio, che aveva trasmesso la fede di generazione in generazione, che aveva dato spazio alla grazia, uno spazio in cui Maria è rimasta preservata dal potenziale di male del mondo e successivamente ha potuto pronunciare il suo libero “Sì”.
Poiché però il linguaggio della “grazia diretta” ha dominato per secoli la fede e la teologia mentre il linguaggio della “grazia mediata” è stato piuttosto una cenerentola, oggi dovremmo parlare con molta più forza di una grazia che è stata trasmessa allʼinterno di Israele in una lunga storia.
Dovremmo insistere, con i nostri fedeli, sull’importanza del nostro impegno nel vivere la nostra vita di grazia, di rapporto con Dio per riuscire a stare nel mondo con simpatia verso il mondo per essere lievito, sale, luce in esso.
Un’ultima motivazione, ma certamente non esaustiva, del perché la scelta della Ecumenica Editrice di Bari nel Sud Italia a favore della pubblicazione di Maria non senza Israele.
Nello spazio tra Abramo e Maria, nonostante tutte le cadute e le infedeltà del popolo, Dio non viene meno, ma conserva tanti nella fede e costituisce così un “resto” che trasmetta in modo vivo la promessa. Nello “spazio” che Maria ha riservato alla grazia, si sono conservate la santità e la giustizia donate da Dio, si è realizzato il “resto santo”, che non raccoglie, come a volte si tende a pensare, i “sopravvissuti”.
Con Abramo aveva già avuto inizio un tipo di storia di salvezza completamente nuovo, una storia di ricerca e di scoperta. Il “resto santo” non è stato un branco di superstiti o di gente rimasta indietro, ma ne fanno parte coloro che veramente sono un passo in avanti. Non sono gli ultimi, ma i primi. Non sono i sopravvissuti, ma i cercatori, gli scopritori di un mondo come Dio lo vuole. A questo corrisponde una parte della teologia anticotestamentaria, e precisamente il fatto che il concetto di “resto” è indirizzato verso la gloria escatologica. Il “resto” è orientato al futuro.
Nel mondo dei cristiani, nelle nostre parrocchie si sentono commenti a proposito della frequenza nella pratica dei credenti.
Molti non stanno più – si ripete sconsolati – scelgono altri lidi e altre spiagge, si fanno una fede personale sganciata dall’essere “un solo corpo e un solo spirito nella carità”. Si grida alla religione che viene meno.
Anche in Israele parecchi si erano fatta una religione per conto proprio. Erano rimasti coloro che, come Maria, accoglievano, custodivano e meditavano le tradizioni di fede dellʼAntico Testamento. In Israele infatti esistevano circoli che conoscevano a memoria parecchi o addirittura tutti i 150 Salmi.
Meditandoli quotidianamente, ossia recitandoli sottovoce tra sé, si interiorizzavano le “memorie” di Israele. Erano i “poveri di JHWH”. In questo “resto santo”, in questi “poveri di JHWH” è sbocciata Maria che ha dato alla luce Gesù, per andare in avanti verso il futuro.
Insieme con Maria, possiamo far parte anche noi del processo di crescita e di realizzazione della redenzione di Cristo nel tempo e nello spazio del nostro mondo. Nella confusa commistione di fede e incredulità, di adesione e rifiuto,non siamo privati della grazia, possiamo solo rifiutarla.
Ma noi non la rifiuteremo. La nostra attenzione curiosa alla donna ebrea di Nazareth, i suoi risultati di vita ci spronano a serrare le fila e continuare la tradizione del “resto santo” per dare a Dio la possibilità di un mondo secondo il suo progetto.
Giuseppe Di Marzo